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GUADO (Isatis
tinctoria L.- Famiglia Cruciferae )Altri nomi volgari: Glasto comune, Erba di guado, Tintaguada, Guadone, Vado,
Glastro.
Caratteri botanici Pianta erbacea biennale spontanea, robusta, originaria dell’Europa
meridionale e diffusa in tutti il territorio europeo, prospera su terreni
poveri e sassosi, nelle colture abbandonate, nelle radure e lungo i margini di
strada. Isatis tinctoria è una brassicacea (ovvero appartiene alla stessa
famiglia di cavoli, verze e broccoletti) nota fin dall’antichità per le sue
proprietà medicinali, il ristretto uso alimentare e, appunto, le
caratteristiche tintorie. Sparsamente pelosa, nel primo anno di vita è
caratterizzata da una rosetta basale di foglie lanceolate; successivamente nel
secondo si estende in altezza sino a superare il metro, con infiorescenze di
colore giallo vivo riunite in densi racemi terminali, che si trasformano in
frutti dall’aspetto di silique pendule, scure, in cui è contenuto il seme.
Le parti commestibili sono le infiorescenze (taddi, giummi o brucculeddi)
prelevate nel mese di aprile con i fiori ancora in boccio: la fioritura
completa infatti avviene da noi fra maggio e luglio.
Il colorante è contenuto nelle foglie e si ricava in seguito al taglio di
queste; tale operazione non danneggia la pianta, che emette nuove foglie,
permettendo così dai quattro ai cinque tagli l’anno; tradizionalmente in molte
zone di coltivazione veniva fissata comunque una data ultima per il taglio, per
non alterare la qualità del prodotto, dato che verso l’autunno le proprietà
tintorie della foglia andavano via via riducendosi; in alcuni statuti medievali
dell’Italia centrale viene indicato a questo proposito il giorno di San Michele
Arcangelo, cioè il 29 di Settembre.
Cenni storici Reperti di tessuti di lino e canapa colorati di blu e
risalenti al Neolitico documentano l'antico uso del guado dal Mar Nero
all'Europa, all'India, all'Africa del Nord. Il suo impiego in passato è
testimoniato oltre che da reperti tessili risalenti al V secolo a.C., anche
negli scritti di Cesare (I secolo a.C.) e di Plinio, circa l’uso che i Bretoni
ne facevano per tingersi i corpi prima delle battaglie con l’intenzione di incutere
terrore ai nemici. Il vasto impiego come colorante diede avvio nel Medioevo
alla coltivazione della pianta sino al secolo XIII.
Conosciuta ed apprezzata come pianta medicinale astringente e tintoria già
nell'antica Roma, Isatis tinctoria L. ebbe la sua massima diffusione nel
Medioevo.
Nel XIV la coltura del guado si estese soprattutto in Normandia e questa
provincia fornì ai tintori di Rouen il blu di Persia, di cui i paesi orientali
erano grandi acquirenti. Fu coltivata nel tempo in molte regioni italiane,
successivamente abbandonata con l'importazione dell'indaco indiano (Indigofera
tinctoria L.), di maggior resa tintoria. La sua coltivazione è stata oggi
ripresa e valorizzata sia in Francia che in Italia con ottimi risultati.
Le foglie vengono utilizzate per l'estrazione dell'indaco, termine che
probabilmente deriva da indicum e si riferisce al paese d'origine, l'India.
Attraverso processi di macerazione e fermentazione in acqua, si ottiene una
colorazione gialla verdastra; la soluzione, agitata ed ossidata, fa precipitare
i fiocchi d'indaco (indigotina) di colore blu. La colorazione, molto solida ed
insolubile in acqua, ha un vasto campo d'applicazione principalmente in campo
tessile per lana, seta, cotone, lino e yuta, ma anche per vernici, colori per
uso pittorico e cosmetico.
Uso alimentare I germogli del Guado non sono una verdura molto ricercata,
forse a causa della loro non facile digeribilità. Si consumano lessati e
conditi con olio e limone oppure come ingredienti nelle frittate e in effetti
non si conoscono notizie circa l`uso alimentare di questa pianta al di fuori
del territorio etneo.
Il blu dei CeltiIsatis tinctoria era la fonte vegetale del blu in epoca antica e il nome
comune “Guado” deriva da una radice che alcuni testi riportano come celtica,
altri germanica: weid, termine grosso modo equivalente ad "erba
selvatica".
Plinio parla di glastum, derivandolo dal celtico glas, che indica l’azzurro,
con riferimento ai laghi; la radice del termine usato dal naturalista romano è
rimasta sino ad oggi nell'inglese glass, vetro, probabilmente perché i vetri
primitivi contengono tracce di metalli che conferiscono loro un colore
verdastro.
Il colore quindi era ben noto nell'Europa celtica, e il suo uso su stoffa
testimonia raffinate anche se empiriche conoscenze sulle caratteristiche ed il
trattamento dei materiali.
Le foglie di Isatis tinctoria contengono due composti organici complessi, il
glucoside indacano e l’estere isatanoB; da entrambe le molecole si può ricavare
la molecola dell’indaco, che ha la proprietà di tingere le stoffe di blu. Se si
spezzano le foglie all’aria, queste due molecole subiscono infatti una reazione
chimica spontanea dando luogo all’indaco propriamente detto. Tale composto però
non è solubile in acqua, e quindi per poter essere utilizzato deve essere
trattato chimicamente. La sostanza colorante non è quindi disponibile
direttamente, ma va ricavata attraverso una lavorazione complessa; ciò
giustifica in parte il valore elevato del colore blu nell’antichità.
Il tessuto o il filato deve poi essere tinto in condizioni riducenti, e solo
successivamente trasferito in condizioni ossidanti, in modo da ritrasformare in
indaco le molecole già fissate sulla fibra. Questo si può ottenere abbastanza
banalmente mantenendo per tutto il tempo del trattamento a caldo il bagno di
tintura il più possibile isolato dall'aria o da fonti di ossigeno mediante un
coperchio, ed esponendo poi all'aria il tessuto durante il lavaggio successivo.
Il fenomeno dell'ossidazione all'aria è piuttosto rapido e molto vistoso:
quelli che nel pentolone, al momento di scoperchiarlo, apparivano come
straccetti di un patetico giallo limone acerbo, virano rapidamente attraverso
tutta la gamma dei verdi per assumere poi un colore blu di intensità variabile,
in funzione della concentrazione che la sostanza colorante aveva nel bagno di
tintura.